NELLA TONNARA DI FAVIGNANA IL MARE AZZURRO SI COLORAVA DI ROSSO

Basta entrare nel porto per capire in fretta a quale risorsa d’acqua sia inscindibilmente connessa la storia di Favignana. A destra, affacciato sull’insenatura, si erge infatti un complesso industriale disegnato dal progettista palermitano Giuseppe Damiani de Almeyda. Gli ampi e numerosi capannoni, suddivisi in più sezioni su una superficie di 100 mila metri quadrati e sormontati da alte e sottili ciminiere, costituiscono la sede della tonnara più famosa d’Italia. Nel periodo d’oro, che parte nella prima metà dell’Ottocento e dura ininterrottamente per un secolo, qui si lavorano ogni anno fino a 10 mila tonni. Tra il 1840 ed il 1845 vengono prodotti ogni 12 mesi circa 18 mila barili di pescioni dalla livrea argentata sott’olio e 45 mila sotto sale. Intorno al 1890 i lavoratori dell’azienda arrivano a toccare le 900 unità, formando da soli un intero paese. La struttura utilizza impianti d’avanguardia, è dotata d’ una infermeria e al suo interno vanta anche un asilo nido per i bimbi del personale femminile. E quando verso il 1970 arriva la crisi, seguita poco dopo dalla chiusura, si registra un’impennata senza precedenti del fenomeno migratorio.
Poco lontano, sulla sinistra, si eleva invece un palazzo adorno di merli e pinnacoli. È la villa estiva dei Florio, che danno vita nell’isola a un’attività imprenditoriale invidiata e presa ad esempio in tutta Europa. Il capostipite della dinastia è Paolo, che sbarca a Palermo alla fine del Settecento seguendo i flussi dalla Calabria. Con gli affari derivati da una drogheria lascia una notevole fortuna al figlio Vincenzo, che il 5 ottobre del 1841 ottiene “in gabella” dai marchesi Giuseppe Carlo Rusconi e Filippo Durazzo Pallavicino le antiche tonnare favignanesi. Il legame diviene indissolubile allorché nel 1874 l’erede Ignazio senior acquista tutte le isole Egadi per quasi 3 milioni di lire. Questi crea varie compagnie di navigazione, tra cui la “Tirrenia”, e viene anche eletto senatore del Regno d’Italia. È la stagione d’oro della famiglia, ma a cascata anche della popolazione. Il rampollo Ignazio junior arriva a sposare Franca Jacona dei baroni di San Giuliano, che D’Annunzio chiama “la divina beltà”, mentre il fratello minore Vincenzo inaugura nel 1906 la famosa corsa automobilistica che porta il cognome del casato. Della straordinaria epopea restano i nostalgici ricordi, immortalati sulle cartoline o nei dipinti di Antonio Varni e Gianni Mattò
Ma il principale rito rievocativo è la mattanza, che cade ogni anno a cavallo tra maggio e giugno. Il giorno è deciso dal “rais”, che è in sostanza il regista di tutte le manovre e ha anche il compito di scegliere il momento più idoneo per aprire il sipario sulla spettacolare quanto cruenta operazione. I tonni giungono a branchi dall’Atlantico seguendo l’istinto ancestrale che li sospinge verso le aree ideali in cui riprodursi. Uno studiato labirinto di reti li incanala in spazi sempre più angusti fino alla “camera della morte”. Roberto Duiz paragona lo scenario a uno sterminato flipper. Gli animali sono le palline che entrano dallo stretto di Gibilterra, cozzano contro le coste tunisine e dopo un’altra imprecisata serie di rimbalzi alla fine entrano in buca. Nel frattempo le imbarcazioni nere, accompagnate dal canto d’una antica nenia araba chiamata “cialoma”, raggiungono Palo di San Pietro e lì gli uomini danno il via a una speciale corrida in cui le banderillas dei toreri sono sostituite dagli arpioni. E ancora una volta il mare azzurro si tinge di rosso.
Fonte: alibionline.it
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